L’acquedotto Alessandrino, vivo e messo di traverso

Acquedotto Alessandrino - (c) photo Mauro Monti

L’acquedotto Alessandrino (per me) è il più bello di Roma. Sembra un ponte che unisce la periferia con il centro della storia, ha un impatto scenografico che ricorda la magnificenza dell’Acquedotto di Segovia anche se quello spagnolo sovrasta un’area pedonale e soltanto turistica.

L’acquedotto Alessandrino, invece, è nel mezzo della città, più esattamente di traverso: sotto le sue arcate passa il traffico di viale Palmiro Togliatti, un flusso continuo di macchine, moto, bici e autobus. È la vita che gli scorre sotto, dopo che per secoli aveva portato sulla propria testa l’acqua, fonte di vita, in città.

Ultimo grande acquedotto a essere costruito nell’antica Roma, deve il suo nome all’imperatore Alessandro Severo che aveva bisogno di rifornire d’acqua le Terme Neroniane costruite nei pressi del Pantheon e che lui aveva completamente ristrutturato, tante da essere chiamate anche con il suo nome (Thermae Alexandrinae).

Testimone silenzioso della storia è per paradosso, nonostante la sua mole, quasi nascosto agli occhi dei suoi stessi abitanti, che come ci ha ricordato Ennio Flaiano, sono capaci di stancarsi in brevissimo tempo di quasi tutto.

Sotto le arcate troverete dei cartelli a cui fare attenzione: 2,80 per 3 metri, sono le misure degli archi più bassi, e dunque occhio a quando passate sotto, lasciate perdere arroganza e fretta e se serve cedete il passo. Così come, per favore, evitate di utilizzare le piccole arcate sul marciapiede come posti auto coperti, fate un piacere alla città: due passi in più faranno bene pure a voi.

Mauro Monti

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