×

L’Eur, da Fellini a Pasolini

Eur - (c) Mauro Monti

L’Eur, da Fellini a Pasolini

È stato il grande sogno dell’Esposizione Universale del 1942, il quartiere che doveva segnare lo sviluppo di Roma verso il mare; un grande set cinematografico e onirico che ha materializzato le visioni metafisiche di De Chirico. Pensato come esaltazione del genio italico e manifestazione della grandezza classica di Roma spinta verso il futuro, l’Eur si è trasformato negli anni nella cittadella degli uffici; le strade deserte del fine settimana venivano ripopolate da auto e famiglie grazie al grande parco giochi al suo interno: il gelato da Giolitti, la passeggiata al lago, la partita di Basket al palazzetto dello sport di Nervi, i pinoli all’ombra del Fungo, i gettoni a quintali nella sala giochi sotto le montagne russe. La domenica mattina, almeno per gli abitanti della zona sud di Roma, era un appuntamento quasi fisso: “andiamo all’Eur”.

Eur - (c) Mauro Monti
Uno degli amanti di questo quartiere era Federico Fellini che riconosceva nell’Eur un’opera d’arte realizzata. “L’Eur – dichiarò nel 1973 nel film-intervista di Luciano Emmer – ti restituisce questa leggerezza come di abitare in una dimensione di un quadro, c’è un’atmosfera liberatoria: in un quadro non esistono leggi se non quelle estetiche, non esistono rapporti se non quelli con la solitudine o soltanto con le cose; quindi mi sembra che questo quartiere vada a stimolare questo senso di libertà, un qualcosa di sospeso, un orizzonte piatto; ci sono edifici creati per fantasmi, per statue”.

Eur - (c) Mauro Monti

“Per molti tipi come me – continua Fellini – questa sensazione di provvisorio che provo qui è molto confortante, sembra di essere in un teatro di posa e dunque l’Eur è il quartiere dove mi sento più vivo”. Lui, che amava Cinecittà perché poteva inventarla giorno dopo giorno, considerava l’Eur il quartiere ideale per chi di professione faceva il rappresentatore di immagini e lo scelse per molte sequenze dei suoi film.
Nella dolce vita, per esempio, Mastroianni gira nella chiesa dei santi Pietro e Paolo la scena con Steiner che suona l’organo, mentre sotto, in fondo alla scalinata, Peppino de Filippo cerca, in Boccaccio 70, di far togliere un manifesto pubblicitario ritenuto troppo osé.
Fellini definiva l’Eur un quartiere che c’è e non c’è: spazi vuoti dove mettere i propri giocattoli, un luogo senza storia, dove il monumento più vecchio è un distributore di benzina.

Eur - (c) Mauro Monti
Lo affascinava anche la visione del sogno folle della celebrazione della vittoria, interrotto e trasformato in qualcosa che è rimasto sospeso.
“Sembra un quartiere futuribile ma è un futuribile già conosciuto – dice ancora Fellini – un futuro che non angoscia, già scontato dalla pittura metafisica e un po’ dai racconti di fantascienza e dai fumetti, è una proiezione in un futuro già addomesticato, che dà una sensazione di conforto, di protezione”.

Lo amava talmente tanto che abitava a piazza del Popolo, perché come diceva: “Non si può stare nelle cose che piacciono: le cose che piacciono si devono desiderare, fantasticare, aspettarle”.

Eur - (c) Mauro Monti

Uno che invece all’Eur abitò, fu Pasolini, a via Eufrate 9, in una palazzina borghese a poca distanza dalla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, il luogo “della sua sepoltura”:

Ricerco la casa della mia sepoltura:
in giro per la città come il ricoverato
di un ospizio o di una casa di cura

in libera uscita, col viso sfornato
dalla Febbre, pelle bianca secca e barba,
Oh dio, sì, altri è incaricato

della scelta. Ma questa giornata scialba
e sconvolgente di vita proibita
con un tramonto più nero dell’alba,

mi butta per le strade d’una città nemica,
a cercare la casa che non voglio più.
L’operazione dell’angoscia è riuscita..

Se quest’ultima reazione di gioventù
ha senso: mettere il cuore in carta –
vediamo: cosa c’è oggi che non fu

ieri? Ogni giorno l’ansia è più alta,
ogni giorno il dolore più mortale,
oggi più dì ieri il terrore mi esalta…

Mi era sembrata sempre allegra questa zona
dell’Eur, che ora è orrore e basta.
Mi pareva abbastanza popolare, buona

per deambularci ignoto, e vasta
tanto da parere città del futuro.
Ed ecco un « Tabacchi », ecco un « Pane e pasta »…

ecco la faccia del borghesuccio scuro
di pelo e tutto bianco d’anima,
come pelle d’uovo, né tenero né duro…

Folle!, lui e i suoi padri, vani
arrivati del generane, servi
grassocci dei secchi avventurieri padani.

E chi siete, vorrei proprio vedervi,
progettisti di queste catapecchie
per l’Egoismo, per gente senza nervi,

che v’installa i suoi bimbi e le sue vecchie
come per una segreta consacrazione:
niente occhi, niente bocche, niente orecchie,

solo quella ammiccante benedizione:
ed ecco i fortilizi fascisti, fatti col cemento
dei pisciatoi, ecco le mille sinonime

palazzine «di lusso» per i dirigenti
transustanziati in frontoni di marmo,
loro duri simboli, solidità equivalenti.

E dove, allora, trovarlo il mio studio, calmo
e vivace, il « sognato nido dei miei poemi»
che curo in cuore come un pascoliano salmo?
……………………………………………………………….
Uno a cui la Questura non concede
il passaporto – e, nello stesso tempo
il giornale che dovrebbe essere la sede

della sua vita vera, non da credito
a dei suoi versi e glieli censura –
è quello che si dice un uomo senza fede,

che non si conforma e non abiura:
giusto quindi che non trovi dove vivere.
La vita si stanca di chi dura.

Ah, le mie passioni recidive
costrette a non avere residenza!
Volando a terre eternamente estive

scriverò nei moduli del mondo: « senza
fissa dimora». È la Verità
che si fa strada: ne sento la pazienza

sconfinata sotto la mia atroce ansietà.
Ma io potrei fare anche il pazzo, l’arrabbiato.,
pur di vivere! la forza di conservazione ha

finzioni da cui è confermato
ogni atto dell’Esserci… La casa
che cerco sarà, perché no?, uno scantinato,

o una soffitta, o un tugurio a Mombasa,
o un atelier a Parigi… Potrei
anche tornare alla stupenda fase

della pittura… Sento già i cinque o sei
miei colori amati profumare acuti
tra la ragia e la colla dei

telai appena pronti… Sento già i muti
spasimi della pancia, nella gola,
delle intuizioni tecniche, rifiuti

stupendamente rinnovati di vecchia scuola…
E, nella cornea, il rosso, sopra il rosso,
su altri rossi, in un supremo involucro,

dove la fiamma è un dosso
dell’Appennino, o un calore di giovani
in Friuli, che orinano su un fosso

cantando nei crepuscoli dei poveri…
Dovrò forse un giorno esservi grato
per questa vergognosa forza che mi rinnova,

conformisti, dal cuore deformato
non dalla brutalità del vostro capitale,
ma dal cuore stesso in quanto è stato

in altra storia violentato al male.
Cuore degli uomini: che io non so più,
da uomo, né amare né giudicare,

costretto come sono quaggiù,
in fondo al mondo, a sentirmi diverso,
perso ad ogni amore di gioventù.

 

Mauro Monti

Commento all'articolo