Moebius, il nastro dell’infinito
Prendete un nastro, fate fare mezzo giro ad una delle estremità e poi congiungete i due lati corti: avete creato un oggetto con un’unica superficie, un solo bordo e una sola faccia.
Potremmo percorrerlo all’infinito senza mai capire su quale delle due parti stiamo camminando.
Quello che avete tra le mani è un nastro di Moebius, dal nome del matematico e astronomo tedesco che per primo ne spiegò le proprietà topologiche.
Questa particolare forma geometrica, assunta anche come simbolo dell’infinito, ha ispirato nel corso dei secoli, artisti di tutto il mondo. Le formiche di Escher, in un’incisione del 1963, camminano indefinitamente sul nastro percorrendone tutta la superficie.
Lo scultore Max Bill addirittura utilizzò questa forma in moltissime sue opere, senza averne conosciuta prima l’esistenza; lo definiva “nastro senza fine” (Endless Ribbon).
Nel 1950, Armin Deutsch, insegnante ad Harvard, spinto dal collega Isaac Asimov, pubblica un racconto breve intitolato “Una Metropolitana chiamata Moebius” nel quale un treno di Boston finisce in una striscia di binari intricati, senza più poterne uscire.
Nastro di Moebius è anche un racconto di Julio Cortázar, presente nella raccolta Tanto amore per Glenda ed il titolo di una raccolta di poesie di Luciano Erba del 1980.
Nel 1966 il nastro arriva anche al cinema, attraverso la trasposizione cinematografica del racconto di Deutsch realizzata dal regista argentino Gustavo Mosquera, e nel sequel di 2001: Odissea nello spazio: “2010 – L’anno del contatto”. Del 2013 è il thriller Möbius, scritto e diretto da Eric Rochant, con l’attore Premio Oscar Jean Dujardin e Cécile de France. E sempre nel 2013 esce il film Moebius del regista coreano Kim Ki-duk, in cui i personaggi del nucleo familiare protagonista sono collegati in un tutt’uno come nel nastro.
La più antica rappresentazione del Nastro di Mobius, però, risale al III secolo d.C. come documentato in un mosaico ritrovato a Sassoferrato, nelle Marche. È conosciuto come mosaico di Aion e lo Zodiaco, ed è conservato nella gliptoteca di Monaco di Baviera.
L’infinito entra anche in una chiesa, ancora nelle Marche: nell’abbazia di San Vittore alle Chiuse, infatti, è presente un simbolo composto da due nastri interlacciati.
Ma si sa, questa è la regione di Leopardi, colui che concentrò in pochi versi la più perfetta descrizione spazio temporale dell’infinito.
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