Lo sguardo di Innocenzo X: l’oltraggio, l’ossessione, l’urlo

L'Arcangelo Michele - Guido Reni

La chiesa di Santa Maria della Concezione, conosciuta da tutti come “chiesa dei Cappuccini”, a via Veneto, nelle vicinanze di piazza Barberini, famosa per la cripta-cimitero “decorata” con le ossa di 4.000 frati, contiene al suo interno anche un magnifico dipinto di Guido Reni che raffigura l’Arcangelo Michele nell’atto di schiacciare col piede satana.

Guido Reni fu uno dei maggiori artisti della prima metà del XVII secolo; operò principalmente a Bologna, sua città natale, e a Roma. Era conosciuto per il suo carattere stravagante, amava il gioco d’azzardo e soffriva di manie persecutorie, in particolare viveva nel continuo timore di essere avvelenato. Era considerato un “larghissimo dissipatore”, tanto che lo scrittore tedesco Joseph von Eichendorff titolerà il suo romanzo, basato sulla figura dell’artista: “Vita di un perdigiorno”.

In quegli anni a Roma erano principalmente due le famiglie nobiliari che si contendevano potere e prestigio: i Barberini e i Pamphilj, continuamente in lotta tra loro. Quando al soglio pontificio salì Urbano VIII (Barberini), il fratello Antonio detto Cardinale di Sant’Onofrio, appartenente all’ordine dei cappuccini, fece iniziare la costruzione di una nuova chiesa dell’ordine, al posto di quella dedicata a San Bonaventura a Monte Cavallo: Santa Maria della Concezione, commissionando proprio a Guido Reni una pala d’altare per una delle cappelle laterali, avente come soggetto San Michele Arcangelo.

Si racconta che a Guido Reni fosse giunta voce che il cardinale Giovanni Battista Pamphilj lo avesse diffamato, e allora quale migliore occasione, questa – pensò – per vendicarsi, ispirandosi proprio al volto del cardinale per raffigurare satana e compiacendo al tempo stesso il committente, la famiglia antagonista del suo detrattore.

Quando il quadro venne esposto nella chiesa, tutti notarono che quel volto lungo, stempiato, con la barba rada, era identico a quello del cardinale; di fronte alle furiose proteste del prelato, Guido Reni rispose che satana gli era apparso in una visione, dunque ne conosceva bene le fattezze, e se il cardinal Pamphilj aveva la gran sfortuna di somigliargli, non poteva certo esserne data colpa al pittore.

“L’angelo io non potevo vederlo e dovetti dipingerlo secondo la mia fantasia. Il demone invece l’ho incontrato parecchie volte, l’ho guardato attentamente e ho fissato i suoi tratti proprio come li ho visti”.

Qualche anno dopo, nel 1644, il cardinale Giovanni Battista Pamphilj fu eletto papa con il nome di Innocenzo X. Guido Reni era morto già da due anni, ma un altro celebre pittore rimase colpito da quello sguardo: Diego Velázquez che nel 1650 lo immortalò in uno dei ritratti più famosi della storia dell’arte (Galleria Doria Pamphilj, Roma).

Ritratto di Innocenzo X - Velázquez

Un dipinto che secoli dopo divenne una vera ossessione per un altro grande artista: Francis Bacon (Dublino, 28 ottobre 1909 – Madrid, 28 aprile 1992).

A partire dagli anni ’50 Bacon realizzò un vero e proprio studio sul ritratto di Velázquez, riproducendolo più volte e deformandolo in maniera sempre diversa e a volte inquietante. Spariscono i particolari, rimangono poche linee a definire i contorni del pontefice il cui volto ora emette un urlo di paura e orrore, un urlo straziante che sembra quasi di udire.

Innocenzo X - Francis Bacon

Una di queste opere, la più composta della serie – Study for Velazquez Pope II, realizzato nel 1961 – fu donata da Gianni Agnelli ai Musei Vaticani. Qui Bacon sceglie uno sfondo completamente nero, conservando la posa austera e lo sguardo diretto del ritratto velazqueziano.

Innocenzo X - Francis Bacon - Musei Vaticani

Quel volto e quello sguardo, scelto da Guido Reni per raffigurare satana schiacciato dall’Arcangelo Michele, viene ora deformato da Francis Bacon, artista che nelle sue opere ha sempre raccontato la deformità della mente umana, il nascosto, l’oscurità, per manifestare la vita tormentata dell’artista stesso e il rapporto conflittuale con l’istituzione religiosa e il padre, capitano dell’esercito britannico, che lo aveva cacciato di casa a 16 anni per averlo sorpreso mentre indossava la biancheria intima della madre.

L’ultima versione del ritratto, Study for a Head, rimasta in mani private, è stata venduta all’asta da Sotheby’s a New York, il 20 maggio del 2019, per 50,3 milioni di dollari.

Innocenzo X - Francis Bacon

Il quadro, uno dei due “Papi urlanti” eseguiti nel formato testa-spalle, contiene tutti gli elementi dei lavori più famosi eseguiti da Bacon in quel periodo.

Qui, oltre all’ossessione del dipinto di Velázquez, e il risultato della lunga esplorazione di Bacon sulla condizione umana, emerge chiaramente l’influenza dell’opera di Munch e del suo urlo, simbolo universale del dramma dell’angoscia, del dolore e della paura.

Quell’urlo che lo stesso Munch, descrisse così:

«Una sera camminavo lungo un viottolo in collina nei pressi di Kristiania – con due compagni. Era il periodo in cui la vita aveva ridotto a brandelli la mia anima. Il sole calava – si era immerso fiammeggiando sotto l’orizzonte. Sembrava una spada infuocata di sangue che tagliasse la volta celeste. Il cielo era di sangue – sezionato in strisce di fuoco – le pareti rocciose infondevano un blu profondo al fiordo – scolorandolo in azzurro freddo, giallo e rosso – Esplodeva il rosso sanguinante – lungo il sentiero e il corrimano – mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente – ho avvertito un grande urlo ho udito, realmente, un grande urlo – i colori della natura – mandavano in pezzi le sue linee – le linee e i colori risuonavano vibrando – queste oscillazioni della vita non solo costringevano i miei occhi a oscillare ma imprimevano altrettante oscillazioni alle orecchie – perché io realmente ho udito quell’urlo – e poi ho dipinto il quadro L’urlo».

Urlo di Munch

Mauro Monti

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